giovedì 27 gennaio 2011

Profumo di donna

Stasera guardando una trasmissione televisiva ho ricordato qualcosa che avevo rimosso. Si parlava dei propri genitori e dei ricordi legati ad essi anche materiali che ci portiamo 'addosso'. Mi sono poi alzata e sono andata verso il settimino antico. In uno dei casseti, nella parte più nascosta ho conservato un omogeneizzato alla frutta. L'ultimo.
Non sono riuscita ad imboccarglielo tre anni fa , nella clinica in cui era ricoverato. Non sono andata quel giorno, quell'unico giorno nel quale è andato via.
Lo facevo mangiare sempre io, perché avevo escogitato un metodo. Siccome rifiutava il cibo, tranne le cose dolci o fresche, io mettevo in punta al cucchiaio o un po' di gelato, o un po' di omogeneizzato alla frutta e alcune volte anche yoghurt. Così lui apriva la bocca e avvertendo per prima il dolce, poi imboccava tutto il resto. Ma è servito se vogliamo solo a prolungargli l'agonia.
Io ho conservato quel vasetto. Non ho avuto cuore di buttarlo. Ha rappresentanto anche per molto tempo un appuntamento mancato e forse non per caso.
Per molto tempo ho vissuto la sua malattia con vigliaccheria. Delegavo agli altri la parte più cruenta. Non accettavo di vederlo soffrire. E ancora oggi mi sento in colpa. Solo a metà percorso della sua malattia ho ricominciato a guardarlo in viso. Spesso mi sdraiavo sul letto di casa al suo fianco. Non so se capisse il senso di cosa gli sussurravo, tante volte ho pianto vicina a lui guardando in un punto fisso che in realtà non vedevo.
Gli davo bacini sulle mani, sul viso e lo perdonavo pure delle sue mancanze per sempre.
Quando si svegliava facevo salire Ciccio sul letto e lo facevo leccare, per vederlo ridere.... voleva tanto bene a Ciccio. Se non fosse stato malato , non avrebbe mai permesso al cane di salire sul letto. Quando era lucido infatti si incazzava e io mi buttavo addosso e me lo abbracciavo scompigliandogli i capelli. Era tanto geloso dei suoi bei capelli brizzolati. Una vanità che ha conservato fino all'ultimo.
Poi veniva sera e arrivava l'infermiere...e ricominciava l'incubo delle bende e delle piaghe aperte. E io mi otturavo le orecchie per non sentire le sue urla da bestia straziata.
Pregavo ogni giorno morisse...L'ho sempre detto e anche scritto. Non ho paura della morte, ma della sofferenza, soprattutto se riguarda chi amo.
La mattina tutto sembrava fintamente normale...Mio padre ha sempre adorato le donne e quando era lucido nonostante fosse diventato ormai cieco, riusciva a riconoscere al tatto e all'odore, il profumo di donna. Di una bella donna.
E voleva che ad accudirlo tra le persone estranee fosse solo Giovanna, la ragazza albanese.
Odiava invece quella che sostituì Giovanna per un periodo, una donna Rumena davvero infida, cattiva, che poi licenziai.
Accudire mio padre non era facile se non sedato...Non bastava mai nessuno. E c'era solo chi pagavi. Mercenari dei quali alcuni davvero perbene come Giovanna.
Prima di allettarsi del tutto , lo portavamo a mangiare in cucina....per dare ancora un senso di normalità sia a lui che a noi. E in cucina se trovava mia nonna, assistere ai loro litigi era uno davvero uno spasso unico. Entrambi erano o erano state persone di spirito e e di sapiente ironia. Si rimbeccavano come nelle migliori opere di Eduardo De Filippo...Mia nonna era sorda , mio padre a tratti lucido e a tratti no...parlavano una lingua tutta loro. Si riusciva a ridere anche nel dolore, perché a casa mia funziona così...dissacriamo il dolore tra frizzi e lazzi.
Ma quel giorno mi è rimasto in borsa quell'ultimo barattolino alla frutta. Simbolo di dolore, ma anche di libertà dal dolore...il suo non il nostro.
Il ricordo di mio padre col tempo è diventato qualcosa di dolce e leggermente aspro proprio come il gusto che avrei dovuto imboccargli.
E a meno che non ci siano gravi rancori o motivi...penso da sempre che i genitori andrebbero amati in vita : disperamente, dolcemente, con rabbia ma con amore, sempre con amore.

13 commenti:

  1. BUONA GIORNATA, NON SAPREI AUGURARTI ALTRO

    RispondiElimina
  2. Un post che fa riflettere, perchè anch'io ho genitori che si stanno avvicinando alla vecchiaia e spero non debbano soffrire.

    Un bacio cara

    RispondiElimina
  3. Non ti nascondo il mio stato di commozione, di uno spaccato di vita vissuto e ricordato, che inevitabilmente ti fa pensare a una parte di noi troppo spesso nascosta per apparire forti ed invincibili...mi nutro di emozioni come quelle da te trasmesse.
    Saluti

    RispondiElimina
  4. Sai Nicole mi hai ricordato che anche mio papà riusciva a mangiare solo cose dolci... lo ingannavo anch'io col gelato. Capitava a volte però che proprio non riusciva ad aprire la bocca. Mi ricordo i pianti che facevo, disperata, perchè il cibo era l'unica cosa che poteva dargli un pò di forze e poi significava non doverlo alimentare col sondino... non avrei tollerato vederlo con una cannula in più oltre alle flebo che gli avevano ormai massacrato le vene.
    Poi ricordo che un giorno ha smesso di esistere... era entrato in coma e le sue mani non stringevano più le mie. Le tenevo strette, senza peso, sperando in cuor mio di non sentire di colpo nuovamente la sua forza. Ascoltavo solo il suo respiro che man mano si faceva sempre più debole... fino a non trovare più l'aria nei suoi polmoni.
    E' l'immagine che mi accompagna sempre: la sua sofferenza, la sua mente altrove, i suoi occhi che mi riconoscevano (forse...) quando entravo in camera nell'ospedale, i suoi giorni d'amore per me di tutta una vita.
    Ho conservato il suo asciugamano, piccolo, che stringeva come la coperta di Linus fra le mani. Ha ancora il suo profumo.

    Ti abbraccio forte
    Joh

    RispondiElimina
  5. Come al solito un bel post, questa volta intenso, commovente, nel quale si legge e si comprende il bene che volevi a tuo padre.

    RispondiElimina
  6. Oh, my god... penso, penso, penso... ad una via d'uscita. Mi sono persa nei miei pensieri, leggendoti. Non me la sento di dire frasi banali. E non ci sono lacrime, maledizione!
    Collaterale, forse stupidamente mi viene in mente una cretinata minimale. Ti dico cos'è, è la frase di una vecchia canzone del "grande" Vasco. Dice: "E OGNUNO IN FONDO PERSO DENTRO I CAZZI SUOI". Quanto la detesto... è così... inutile, fuorviante.

    RispondiElimina
  7. "Simbolo di dolore, ma anche di libertà dal dolore." Frase bellissima, come tutto il resto..

    RispondiElimina
  8. un abbraccio, tutto qui, è tutto qui quello che mi viene da scrivere

    viv

    RispondiElimina
  9. Hai toccato il mio cuore, ancora una volta.
    A volte è difficile lasciare un commento per la grande comprensione che si prova. In questo caso, mi limito ad ascoltarti... con lacrime e tanto affetto.

    RispondiElimina
  10. Farò una cosa semplicissima: metterò questo post in fondo ad un cassetto segreto per tirarlo fuori quando avrò bisogno della bellezza del vero.

    RispondiElimina
  11. Leggerti è come sempre un viaggio.Tocchi corde comuni a tutti e arrivi dritta dritta al cuore,senza essere leziosa e pesante.Scrivi Nicole,non smettere mai.Io ti ringrazio.

    RispondiElimina
  12. Cara Nicole...prezioso tango, il tuo post. Resta nel cuore. Un sorriso appena velato..

    RispondiElimina
  13. E' piuttosto difficile commentare... Una forza d'animo non indifferente da parte tua rivivere determinati momenti, batterli alla tastiera... Un GRAZIE altrettanto grande da parte mia per averli condivisi con noi portandoci, ne sono certo, a riflettere...

    Un abbraccio...

    RispondiElimina